6 Marzo 2025
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La tirannia dell’uniformità: perché la libertà d’opinione non può essere selettiva

Press

La notizia del cambiamento radicale nella linea editoriale della sezione opinioni del Washington Post, voluto dal proprietario Jeff Bezos, rappresenta un caso emblematico del complesso rapporto tra proprietà dei media, libertà di stampa e pluralismo informativo. La decisione di orientare la sezione opinioni esclusivamente verso la difesa delle ‘libertà personali e del libero mercato’, che ha portato alle dimissioni del direttore David Shipley, solleva interrogativi profondi sulla natura stessa del giornalismo e sul suo ruolo nelle società democratiche. Per analizzare questa complessa questione, abbiamo chiesto a John Stuart Mill, filosofo britannico dell’Ottocento e uno dei più influenti pensatori liberali della storia, di offrirci la sua prospettiva attraverso un editoriale impossibile. La scelta di Mill appare particolarmente significativa: il suo pensiero sulla libertà di espressione, condensato nel celebre saggio ‘On Liberty’ (1859), costituisce ancora oggi un riferimento fondamentale per comprendere il valore del pluralismo di idee e il pericolo della ‘tirannia dell’opinione’, elementi che risuonano potentemente nel caso in questione.

Vi scrivo oggi non da una Londra vittoriana in pieno fermento intellettuale, ma da un presente che, pur nella sua apparente evoluzione, continua a confrontarsi con le stesse fondamentali questioni che animavano il dibattito dei miei tempi: quale sia la natura della libertà e quali i suoi limiti, quale il ruolo della stampa in una società che aspiri ad essere veramente libera, quale il giusto equilibrio tra il potere economico e la libertà di espressione.

La notizia che il signor Jeffrey Bezos, imprenditore dalla fortuna smisurata e proprietario del prestigioso Washington Post, abbia deciso di riorientare la sezione dedicata alle opinioni esclusivamente verso la difesa delle ‘libertà personali e del libero mercato’, eliminando le voci dissonanti, mi offre l’occasione per riflettere su uno dei paradossi più insidiosi della libertà: quando essa, nel nome di se stessa, inizia a limitare il proprio ambito.

Nel mio saggio ‘On Liberty’, pubblicato nel 1859, sostenevo con vigore che ‘se tutta l’umanità, meno una persona, fosse di una certa opinione, e una sola persona fosse di opinione contraria, l’umanità non avrebbe maggior diritto di mettere a tacere quella persona di quanto quella persona, se ne avesse il potere, avrebbe diritto di mettere a tacere l’umanità.’ Un principio che non ammette eccezioni, nemmeno quando si tratta di difendere concetti apparentemente inattaccabili come le ‘libertà personali’ o il ‘libero mercato’.

La decisione del signor Bezos è particolarmente problematica proprio perché avviene sotto l’egida della libertà. Si propone di difendere la libertà limitando, paradossalmente, la libertà stessa – quella pluralità di voci e opinioni che costituisce l’essenza di un dibattito veramente libero. È come se dichiarasse: ‘Siamo così devoti alla libertà che rifiuteremo di pubblicare chiunque la metta in discussione.’ Ma quale libertà è quella che non tollera il proprio esame critico?

Il libero mercato e le libertà personali sono certamente concetti meritevoli di difesa, ma la loro validità non può essere semplicemente asserita e protetta dall’esame critico. Al contrario, il loro valore si rafforza proprio attraverso il confronto con le voci che li mettono in discussione. Come scrivevo: ‘Colui che conosce solo il proprio punto di vista su un argomento non conosce molto bene nemmeno quello. Le sue ragioni possono essere buone, e forse nessuno è in grado di confutarle. Ma se è ugualmente incapace di confutare le ragioni della parte avversa, e non sa nemmeno di che cosa si tratti, non ha basi per preferire l’una all’altra opinione.’

Quando un giornale, soprattutto uno di grande prestigio e influenza come il Washington Post, decide di limitare il dibattito alle sole opinioni favorevoli a una determinata visione economica o sociale, sta di fatto impoverendo non solo il pubblico, ma anche la causa che pretende di difendere. Le idee sul libero mercato e sulle libertà individuali hanno bisogno di essere continuamente temprate nel fuoco della critica per mantenersi vitali e rilevanti.

Non posso fare a meno di vedere in questa decisione una manifestazione di quella che nel mio tempo chiamavo la ‘tirannia dell’opinione’ – quel fenomeno per cui anche in assenza di una censura formale da parte dello Stato, la società stessa può imporre un’ortodossia soffocante. Ai miei tempi, questa tirannia si esprimeva principalmente attraverso il conformismo sociale vittoriano; oggi, a quanto pare, può assumere forme più sottili e manifestarsi anche attraverso le decisioni editoriali di proprietari di giornali dotati di immense fortune.

Desidero soffermarmi su un punto che ritengo cruciale: la relazione tra libertà economica e libertà di espressione. Il signor Bezos, che ha costruito la sua fortuna come pioniere del commercio elettronico, sembra assumere che esista una naturale alleanza tra queste due forme di libertà. Ma la realtà è più complessa. La concentrazione del potere economico, se non bilanciata adeguatamente, può diventare essa stessa una minaccia per la libertà di espressione, creando nuove forme di censura non statale ma non per questo meno reali.

Il Washington Post, come ogni altro grande giornale, non è semplicemente un’impresa commerciale. È un’istituzione che svolge una funzione civica essenziale: quella di fornire uno spazio per il dibattito pubblico, un’agorà moderna dove le diverse idee possono confrontarsi alla pari. Quando questa funzione viene compromessa, anche in nome della difesa di un particolare tipo di libertà, è la democrazia stessa che ne soffre.

Sono consapevole che il signor Bezos potrebbe obiettare che, in quanto proprietario del giornale, ha il diritto di determinarne la linea editoriale. Dal punto di vista strettamente legale, questo è indiscutibile. Ma vorrei invitarlo a considerare la distinzione che tracciavo nel mio saggio tra i diritti legali e i doveri morali: ‘Il fatto che una persona abbia il diritto legale di fare qualcosa non significa che sia moralmente giusto che lo faccia’. La proprietà di un importante organo di informazione comporta responsabilità che vanno oltre il mero diritto legale.

La vera difesa delle libertà personali e del libero mercato non consiste nel creare spazi protetti dove queste idee possano circolare indisturbate, ma nel permettere loro di confrontarsi apertamente con le critiche e le alternative. È nel confronto con il socialismo che il capitalismo può affinare i propri argomenti. È nel dialogo con i sostenitori di una maggiore regolamentazione che i difensori del laissez-faire possono rafforzare le proprie posizioni. Senza questo confronto, anche le idee migliori rischiano di diventare dogmi sterili.

Difendere, come faccio, il pluralismo delle voci non equivale ad affermare che tutte le opinioni abbiano uguale valore o merito intellettuale. Ho dedicato nei miei studi considerevole attenzione ai processi attraverso cui distinguiamo il vero dal falso, l’argomentazione solida dal sofisma. Ciò che sostengo è che la verità si rafforza nel confronto aperto, non nell’isolamento protetto. Come scrivevo in ‘On Liberty’: ‘Il peculiare male che deriva dal mettere a tacere l’espressione di un’opinione è che si deruba il genere umano; la posterità non meno della generazione attuale’.

Il mondo dell’informazione nel quale il Washington Post opera oggi è radicalmente diverso da quello che conoscevo. L’avvento di Internet e dei social media ha creato una pluralità di fonti che sarebbe stata inimmaginabile nel XIX secolo. Si potrebbe argomentare che, in questo contesto, la decisione di un singolo giornale di adottare una linea editoriale più definita sia meno problematica. Ma ritengo che questa obiezione non colga nel segno.

Proprio perché il panorama informativo è così frammentato, con il pubblico che tende sempre più a rinchiudersi in camere d’eco dove incontra solo opinioni simili alle proprie, diventa ancora più importante che le istituzioni giornalistiche storiche e rispettate mantengano il loro impegno verso un pluralismo autentico. Il Washington Post, con la sua lunga tradizione di giornalismo di qualità, ha la responsabilità di offrire ai suoi lettori non solo ciò che desiderano sentire, ma anche ciò che hanno bisogno di ascoltare per formarsi opinioni veramente informate.

La libertà di cui tutti parlano non è quella di concordare, ma di dissentire. È nella capacità di tollerare e anzi valorizzare il dissenso che si misura la vera devozione ai principi liberali. Ed è in questo spirito che invito il signor Bezos a riconsiderare la sua decisione, non come una ritrattazione, ma come un atto di fedeltà ai valori più profondi che dichiara di voler difendere.

Glossario dei concetti chiave

  • Tirannia dell’opinione: Concetto che si riferisce alla pressione sociale conformista che può soffocare il dissenso e l’individualità anche in assenza di coercizione legale. Mill la considerava pericolosa quanto la tirannia politica.
  • Libertà di espressione come strumento di verità: Per Mill, il valore della libertà d’espressione non risiede solo nel diritto dell’individuo a esprimersi, ma nella sua funzione sociale di favorire l’emergere della verità attraverso il confronto aperto tra idee diverse.
  • Pluralismo vs relativismo: Distinzione importante nel pensiero di Mill: sebbene difendesse la necessità di diverse voci nel dibattito (pluralismo), credeva fermamente che non tutte le opinioni avessero uguale valore (rifiuto del relativismo).

Riferimenti bibliografici

John Stuart Mill

John Stuart Mill

Filosofo, economista e riformatore sociale britannico (1806-1873), ha elaborato una delle più influenti teorie liberali della storia con la sua difesa della libertà individuale e la formulazione dell'utilitarismo qualitativo. La sua visione della democrazia deliberativa, dell'emancipazione femminile e dei limiti del potere statale offre un paradigma ancora fertile per affrontare la tensione tra libertà e uguaglianza nelle società complesse

Gian Mauro Zumbo

Gian Mauro Zumbo

Imprenditore seriale a cavallo tra trasformazione digitale, impatto sociale e turismo sostenibile, ho trasformato la mia cronica curiosità in professione. Tra un progetto e l'altro, mi sono lasciato catturare da una domanda: cosa direbbero i grandi del passato delle nostre sfide? È nato così un esperimento editoriale che usa l'impossibile come strumento d'indagine, mescolando ispirazione e immaginazione per creare ponti inaspettati tra epoche e saperi.

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