15 Aprile 2025
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Geografie della libertà e della necessità: Hugo Pratt e l’odissea migratoria

Una conversazione impossibile
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Nel 2025 ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa di Hugo Pratt, creatore del celebre Corto Maltese. In concomitanza con questo importante anniversario, Palazzo delle Papesse a Siena, dall’11 aprile al 19 ottobre, ospiterà la mostra “Hugo Pratt, Geografie immaginarie“, un’ambiziosa retrospettiva che raccoglierà oltre trecento opere dell’artista, tra tavole originali, acquerelli e preziosi oggetti etnografici provenienti dalla sua collezione personale. Questa convergenza di arte, antropologia e letteratura disegnata ci ha offerto lo spunto ideale per immaginare un dialogo impossibile con uno dei più raffinati narratori di confini e geografie.

Chi meglio del creatore di Corto Maltese – marinaio senza patria, eterno viaggiatore di mari e continenti – potrebbe offrirci una prospettiva unica sull’odissea migratoria del nostro tempo, sulle geografie in trasformazione e sul mare come spazio di transizione e metamorfosi? La redazione ha incontrato Hugo Pratt in uno spazio indefinito, sospeso tra la memoria e l’immaginazione, proprio come le geografie che ha saputo creare nelle sue opere…

Maestro Pratt, lei ha trascorso la vita raccontando storie di viaggiatori, nomadi e avventurieri che attraversano confini. Come vede oggi la crisi migratoria nel Mediterraneo?

I mari del mondo sono sempre stati crocevia di popoli e civiltà. Nei miei disegni ho cercato di catturare questa mobilità costante di persone, idee e storie. Corto Maltese attraversa i confini seguendo il richiamo dell’avventura, potendo scegliere liberamente le sue rotte. Nel mondo reale milioni di persone attraversano quegli stessi mari per necessità, per sfuggire a guerre, carestie, persecuzioni. Non hanno scelta. Il Mediterraneo, che nelle mie storie è scenario di incontri e possibilità, è diventato una frontiera d’acqua dove si consuma una tragedia quotidiana.

Lei ha ambientato molte storie in Africa e in luoghi considerati “esotici” dall’Occidente. Come si relaziona questo con l’attuale percezione dei migranti provenienti da questi stessi luoghi?

Sapete cosa trovo curioso? La gente si entusiasma per i miei disegni del Corno d’Africa o dell’Amazzonia, ammira gli oggetti tribali che ho collezionato nei miei viaggi, ma poi quando queste culture bussano alla loro porta, diventano improvvisamente “stranieri”, “altri”. Ho passato la vita a disegnare persone di tutte le culture, non come curiosità esotiche ma come esseri umani con le loro storie. Le ho incontrate, ci ho vissuto insieme in Etiopia, in Argentina, in luoghi che molti considerano solo punti su una mappa. Oggi vediamo questa contraddizione in forma estrema: ammiriamo gli oggetti etnografici provenienti dall’Africa nelle mostre d’arte, ma rifiutiamo le persone che da quelle stesse terre cercano rifugio tra noi. È come se volessimo le maschere tribali appese al muro, ma non i volti umani che le hanno create.

Corto Maltese è un personaggio senza patria, sempre in viaggio. Potrebbe essere considerato un rifugiato contemporaneo?

Corto è un uomo libero per scelta, non per costrizione. È fondamentale questa differenza. Ma certo, in lui c’è qualcosa che potrebbe risuonare con la condizione del rifugiato: non appartiene completamente a nessun luogo, è un outsider ovunque vada, attraversa i confini con disinvoltura perché per lui sono convenzioni arbitrarie. Ho sempre pensato che l’identità di un uomo non si definisca in base alla sua nazionalità, ma attraverso le esperienze che vive, le persone che incontra, le storie che raccoglie lungo il cammino. Mi ricorda quando ero in Etiopia da bambino, o più tardi in Argentina. Ti porti sempre dietro i posti che hai visto. I migranti oggi hanno questo bagaglio, anche se non l’hanno scelto come ho fatto io. La differenza è che Corto poteva permettersi il lusso dell’apolide romantico; i rifugiati di oggi pagano invece un prezzo altissimo per la loro condizione.

Nelle sue storie, spesso i confini sono sfumati, indefiniti. Come vede l’ossessione contemporanea per i confini e la loro fortificazione?

Le frontiere sono sempre state il luogo dove ho ambientato le mie storie più interessanti, perché è lì che avviene l’incontro, lo scambio, talvolta lo scontro tra diversi mondi. Sono sempre stato affascinato dalle zone di confine, quegli spazi liminali dove le identità si mescolano e si trasformano. I muri? Guardate, ho disegnato abbastanza mappe nella mia vita per sapere che i confini cambiano continuamente. La gente si è sempre spostata. Non c’è niente di nuovo qui, solo che adesso ci mettiamo filo spinato e telecamere. Disegnare un confine su una mappa è un atto politico, spesso arbitrario; vivere quel confine è un’esperienza umana complessa. In “Una ballata del mare salato”, la prima avventura di Corto, il Pacifico è un immenso spazio liquido dove si muovono personaggi di ogni nazionalità; non ci sono dogane o passaporti. Oggi invece abbiamo trasformato il Mediterraneo in una frontiera militarizzata, ed è una tragica ironia che proprio il mare, simbolo per eccellenza di libertà e movimento, sia diventato un muro d’acqua.

Lei ha vissuto in Argentina, Etiopia, ha viaggiato molto. Come ha influenzato questa sua esperienza personale la sua visione delle migrazioni?

Nelle mie storie ho narrato gli effetti del colonialismo con occhio critico, basato sulla mia esperienza diretta. Ho visto con i miei occhi in Etiopia la violenza e l’arroganza del sistema coloniale italiano. Non ho mai creduto alla retorica dell’impero e della missione civilizzatrice. Il colonialismo è stato un’oppressione brutale, non un incontro tra pari. Nelle mie storie ho cercato di mostrare la disumanità di quel sistema, pur dando dignità a tutti i personaggi. Oggi vedo una tremenda ironia storica: un tempo l’Occidente invadeva con la forza i paesi che oggi chiamiamo in via di sviluppo, adesso le persone da quei paesi cercano rifugio proprio in Occidente, spesso fuggendo da situazioni create o aggravate da quel passato coloniale. In “Corto Maltese in Africa” ho sempre fatto attenzione a rappresentare gli africani con dignità e complessità, non come semplici vittime passive o come “selvaggi”, come faceva certa letteratura dell’epoca. Ma non ho mai avuto dubbi su chi fosse l’oppressore e chi l’oppresso in quella storia.

C’è un elemento delle sue storie che risuona particolarmente con la condizione dei migranti contemporanei?

Forse è quella qualità di sospensione che caratterizza molti dei miei personaggi. Sono esseri in transito, non solo fisicamente ma anche esistenzialmente. Prendete Rasputin, per esempio. È russo, siberiano, ma la sua identità va oltre la sua nazionalità – è un uomo senza patria, che si muove ai margini di ogni società, non appartiene a nessun luogo specifico. O Cush, l’africano che segue Corto. Questi personaggi vanno dove li porta il vento. Non appartengono completamente né al mondo da cui provengono né a quello in cui si trovano. Hanno dovuto reinventarsi continuamente. I migranti di oggi vivono una condizione simile, ma amplificata dalla precarietà, dalla mancanza di riconoscimento, dalla stigmatizzazione sociale.

Molti propongono soluzioni alla crisi migratoria, dalle politiche di accoglienza a quelle di respingimento. Quale sarebbe il suo approccio?

Diffido di chi ha soluzioni. Nelle mie storie non ci sono mai risposte definitive, solo domande, dubbi, percorsi tortuosi. L’ideologia è nemica della complessità. La mia esperienza in Argentina durante il peronismo mi ha insegnato a diffidare dei grandi progetti politici, delle promesse di redenzione collettiva. Le migrazioni sono fenomeni complessi che richiedono pragmatismo, non ideologia. Forse la chiave non è cercare LA soluzione, ma accettare che viviamo in un mondo di movimento costante, e trovare modi umani di gestire questa fluidità, senza illuderci di poterla arrestare né di eliminarvi ogni attrito.

Se dovesse disegnare oggi una storia sulla crisi migratoria, come la imposterrebbe?

Probabilmente partirei da storie individuali, da volti e nomi precisi. Non mi interesserebbero i grandi numeri, le statistiche, le analisi geopolitiche. Cercherei di mostrare l’umanità dietro le etichette di “migrante” o “rifugiato”. Potrei immaginare un Corto Maltese contemporaneo che incrocia il suo cammino con quello di chi attraversa il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna. O forse racconterei la storia di chi resta, di chi vede partire un fratello, un figlio, un amico. E sicuramente disegnerei molte mappe, perché le mappe raccontano sempre una storia, spesso diverse da quelle ufficiali. Disegnerei le rotte invisibili che attraversano deserti e mari, i punti di incontro e di scontro, le frontiere reali e quelle immaginarie. Ricordatevi che ogni linea di confine su una carta geografica nasconde infinite storie umane. Sta a noi raccontarle.

Glossario

  • Geografie immaginarie: Concetto che fa riferimento agli spazi narrativi creati da Hugo Pratt, che mescolano luoghi reali e immaginari, dove la geografia fisica si fonde con quella culturale, spirituale e mitologica.
  • Corto Maltese: Protagonista delle storie più celebri di Pratt, marinaio senza patria, nato a Malta da padre inglese e madre gitana di Siviglia. Rappresenta l’archetipo dell’avventuriero romantico, sempre in movimento tra continenti e culture diverse.
  • Spazio liminale: Concetto antropologico che indica una zona di confine o transizione tra due stati diversi, dove le identità sono fluide e in trasformazione. Nel contesto dell’intervista, il mare Mediterraneo come spazio tra terre, culture e identità.
  • Una ballata del mare salato: Prima storia di Corto Maltese, ambientata nel Pacifico durante la Prima Guerra Mondiale, considerata uno dei capolavori della narrativa grafica mondiale.

Riferimenti Bibliografici

  • Pratt, H. (1967). Una ballata del mare salato. Sgt. Kirk.
  • Pratt, H. (1972-73). Le Etiopiche. Milano: Rizzoli Lizard.
Hugo Pratt

Hugo Pratt

Fumettista, artista e narratore visionario (1927-1995), ha elevato il fumetto a forma d'arte di straordinaria profondità culturale, attraverso un linguaggio visivo inconfondibile che fonde avventura, storia e poesia. La sua opera più celebre, "Corto Maltese", ha dato vita a un personaggio iconico che naviga tra mari reali e immaginari, testimone errante delle tensioni geopolitiche e delle trasformazioni culturali del Novecento.

Gian Mauro Zumbo

Gian Mauro Zumbo

Imprenditore seriale a cavallo tra trasformazione digitale, impatto sociale e turismo sostenibile, ho trasformato la mia cronica curiosità in professione. Tra un progetto e l'altro, mi sono lasciato catturare da una domanda: cosa direbbero i grandi del passato delle nostre sfide? È nato così un esperimento editoriale che usa l'impossibile come strumento d'indagine, mescolando ispirazione e immaginazione per creare ponti inaspettati tra epoche e saperi.

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