Il tema delle ‘freedom cities’ negli Stati Uniti emerge da un articolo di Wired Italia, che riporta come diverse lobby tecnologiche stiano spingendo per la creazione di enclavi urbane esentate dalle normative federali, con il sostegno dell’amministrazione Trump. Queste città-stato tech sarebbero zone di sperimentazione per tecnologie avanzate, dall’anti-invecchiamento ai reattori nucleari, senza i vincoli regolatori tradizionali. Abbiamo pensato di intervistare Jean-Jacques Rousseau, il grande filosofo politico del Settecento, il cui pensiero sul contratto sociale, sulla sovranità popolare e sulla legittimità dell’autorità politica offre una prospettiva illuminante su questa moderna proposta di frammentazione della sovranità statale.
Signor Rousseau, grazie per aver accettato questa intervista. L’amministrazione Trump sta valutando la creazione di ‘freedom cities’, città tecnologiche che non sottostarebbero a molte leggi federali. Cosa ne pensa di questo concetto?
Mi fate ridere con le vostre ‘freedom cities’! Ecco un nuovo artificio per ingannare gli uomini con la promessa della libertà mentre li si assoggetta a nuove forme di dipendenza. La vera libertà non consiste nell’esenzione dalle leggi, ma nella sottomissione a leggi che ci siamo dati noi stessi. Ciò che voi chiamate ‘libertà’ in queste enclavi sarebbe in realtà l’abbandono del contratto sociale che costituisce il fondamento legittimo di ogni società civile. Se gli uomini possono sottrarsi alle leggi comuni solo perché dispongono di capitali o conoscenze tecniche, allora si instaura il regno dell’ineguaglianza, che è il più grave oltraggio alla natura umana.
Ma i sostenitori di queste città affermano che l’innovazione è ostacolata da regolamenti obsoleti. Non è un argomento valido?
La ragione è sempre stata il pretesto dei tiranni; l’interesse pubblico, il loro discorso; il benessere dei popoli, la loro scusa. Questi signori tecnocrati proclamano di voler liberare l’innovazione, ma in realtà cercano di liberare sé stessi dal dovere di rispondere del bene comune. Una società non esiste per produrre innovazioni, ma per garantire la felicità e la libertà di tutti i suoi membri. La vera innovazione che dovrebbe interessare gli uomini è quella che perfeziona il contratto sociale, non quella che lo elude. Quando un gruppo privilegiato può sottrarsi alle leggi che vincolano tutti gli altri, non vi è più uguaglianza, e senza uguaglianza non vi è libertà, ma solo licenza per i pochi e servitù per i molti.
Le freedom cities promettono di attrarre talenti e capitali. Non creerebbero ricchezza e opportunità per tutti?
Ah! La solita favola che la ricchezza dei potenti sgocciolerà sui più umili! È con simili racconti che si persuadono gli uomini ad accettare il giogo dell’ineguaglianza. Ho scritto nel mio ‘Discorso sull’origine della disuguaglianza’ che il primo che, avendo recintato un terreno, pensò di dire ‘questo è mio’ e trovò persone abbastanza semplici da credergli, fu il vero fondatore della società civile e delle sue diseguaglianze. Queste ‘città della libertà’ non sono che un nuovo recinto, più sofisticato ma non meno insidioso. In esse, la volontà particolare di pochi sostituirebbe la volontà generale che sola può legittimare l’autorità politica. Non è forse questa la definizione stessa della tirannia?
Una delle proposte prevede l’uso di terreni federali per creare queste città. Cosa pensa di questa appropriazione di beni pubblici?
È un furto! I beni pubblici sono patrimonio comune di tutti i cittadini, custoditi dallo Stato come espressione della volontà generale. Alienarli a beneficio di interessi particolari significa tradire il patto sociale. Quei terreni appartengono al popolo sovrano nella sua interezza, non al governo che ne è solo amministratore. Il governo non può cedere ciò che non gli appartiene. È come se un curatore dilapidasse i beni del suo pupillo. La sovranità è inalienabile proprio come questi beni comuni dovrebbero essere.
I promotori di queste città sostengono che permetterebbero sperimentazioni non consentite altrove, come terapie anti-invecchiamento. La scienza non dovrebbe essere libera di progredire?
La scienza! Sempre la scienza! Come se questa fosse separata dalla morale e dalla politica! Ho affermato nel mio ‘Discorso sulle scienze e le arti’ che il progresso delle scienze e delle arti, lungi dal purificare i costumi, ha contribuito a corromperli. Non perché la conoscenza sia di per sé un male, ma perché, divorziata dalla virtù civica, diviene strumento di dominio. Queste sperimentazioni di cui parlate, chi deciderebbe della loro liceità? Un conclave di tecnici e investitori? E i rischi, chi li sopporterebbe? La comunità più ampia, esclusa dalle decisioni ma non dalle conseguenze. Ecco la perversione del contratto sociale: privatizzare i benefici e socializzare i rischi. La vera libertà scientifica non consiste nell’assenza di regole, ma nella sottomissione a regole ragionevoli stabilite dalla volontà generale.
Signor Rousseau, lei stesso ha elogiato le piccole città-stato come ideali per la democrazia diretta. Non sono le freedom cities una realizzazione moderna di quel modello, permettendo a comunità di dimensioni gestibili di autogovernarsi secondo proprie regole?
Mi stupisce questo paragone! Vedete un’analogia dove esiste una contraddizione fondamentale. Le città-stato che ho descritto nel mio “Contratto Sociale” erano fondate sulla partecipazione uguale di tutti i cittadini alla formazione della volontà generale, non sull’esenzione dai doveri comuni. La dimensione ridotta serviva a facilitare la partecipazione democratica diretta, non a creare enclavi di privilegio.
Queste vostre “freedom cities” invertono completamente la logica: non sono comunità dove i cittadini si autogovernano collettivamente, ma proprietà private dove pochi detentori di capitale dettano legge, sottraendosi agli obblighi che vincolano il resto della società. Le mie città-stato ideali esistevano per realizzare la volontà generale attraverso la partecipazione di tutti; le vostre “città della libertà” esistono per eludere la volontà generale a vantaggio di interessi particolari.
Signor Rousseau, l’articolo di Wired riporta che i promotori delle “freedom cities” non vogliono limitarsi a dieci città, ma creare “tutte quelle che il mercato può gestire”. Quali sarebbero, a suo avviso, le conseguenze per lo Stato americano se queste enclavi proliferassero sul territorio nazionale?
La dissoluzione dello Stato! Ecco cosa accadrebbe inevitabilmente. Avreste un territorio frastagliato da zone franche per capitali e tecnologie, ciascuna con regole diverse, fiscalità diverse, diritti diversi. La cittadinanza stessa perderebbe significato, poiché non garantirebbe più uguaglianza di fronte alla legge. I cittadini si trasformerebbero in consumatori di giurisdizioni, che scelgono dove risiedere in base ai vantaggi momentanei, non in base a un’appartenenza civica.
E lo Stato non sarebbe più uno spazio di cittadinanza condivisa, ma un arcipelago di interessi particolari in competizione tra loro. E quando lo Stato perde la sua unità fondamentale, perde anche la capacità di proteggere i più deboli contro i più forti. È questa la “libertà” che cercate? La libertà dei potenti di opprimere i deboli senza il fastidio dell’autorità pubblica? Questa non è libertà, ma la strada verso una nuova forma di feudalesimo, più insidiosa dell’antica perché mascherata da innovazione!
Glossario dei concetti chiave
- Contratto sociale: Concetto fondamentale nel pensiero politico di Rousseau che descrive l’accordo volontario tra individui che fondano una società civile, cedendo alcuni diritti naturali in cambio della protezione legale e dei benefici della comunità.
- Volontà generale: Espressione dell’interesse collettivo che mira al bene comune, distinta dalla mera somma delle volontà particolari. Per Rousseau è la base legittima di ogni autorità politica.
- Freedom cities: Progetto di creare enclavi urbane negli Stati Uniti esenti da normative federali, principalmente destinate a hub tecnologici e sperimentazioni scientifiche avanzate.
Riferimenti bibliografici
- Rousseau, J.J. (1755). Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini.
- Rousseau, J.J. (1762). Il contratto sociale.
- Rousseau, J.J. (1750). Discorso sulle scienze e sulle arti.
- Articolo Wired Italia – 11 marzo 2025