28 Febbraio 2025
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La tirannia dell’algoritmo: il tempo come merce nella società dello spettacolo digitale

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Come riportato da Wired, Instagram ha rivelato nuovi dettagli sul funzionamento del suo algoritmo nella valutazione dei contenuti video, evidenziando come la piattaforma consideri sia la percentuale di visualizzazione che il tempo effettivo di visione. Abbiamo chiesto a Guy Debord (1931-1994), filosofo e teorico sociale francese noto per la sua critica alla società dello spettacolo e al consumismo mediatico, di analizzare questa evoluzione algoritmica che influenza il modo in cui consumiamo i contenuti digitali. La sua visione critica della società mediata dalle immagini e la sua analisi della spettacolarizzazione della vita quotidiana offrono una prospettiva unica per comprendere le implicazioni sociali e culturali di questi meccanismi di controllo dell’attenzione.

Il nuovo algoritmo di Instagram, con la sua meticolosa misurazione del tempo di visione dei contenuti video, rappresenta l’incarnazione più sofisticata di quella che, già negli anni ’60, avevo definito la società dello spettacolo. Oggi, questa società ha raggiunto il suo apice nel dominio del digitale, dove il tempo stesso è diventato una merce quantificabile e commerciabile.

L’annuncio di Adam Mosseri [Head of Instagram n.d.r.] sulla valutazione algoritmica dei video non è che l’ultima manifestazione di un sistema che trasforma ogni aspetto della vita umana in una rappresentazione misurabile e monetizzabile. La precisazione che ‘non si guarda solo la percentuale di un video visualizzato, ma anche il numero di secondi‘ rivela la perversione di un meccanismo che riduce l’attenzione umana a unità di misura commerciale.

Quello che viene presentato come un’innovazione tecnica neutrale è in realtà un ulteriore affinamento del controllo spettacolare sulla coscienza collettiva. L’algoritmo non è altro che il nuovo sovrano invisibile che determina cosa meriti di essere visto e cosa debba rimanere nell’ombra, basandosi non sul valore intrinseco dei contenuti, ma sulla loro capacità di catturare e trattenere l’attenzione degli spettatori-consumatori.

La presunta democratizzazione dell’accesso ai contenuti, simboleggiata dall’affermazione che ‘nessun creator sarà penalizzato‘, nasconde la realtà di un sistema che trasforma ogni interazione in una merce, ogni sguardo in un dato quantificabile, ogni secondo di attenzione in un valore di scambio. La società dello spettacolo digitale ha perfezionato ciò che nel mio ‘La Société du Spectacle’ avevo solo potuto intravedere: la completa subordinazione della vita sociale alla logica della merce.

L’estensione della durata massima dei Reels a tre minuti non è un’apertura verso contenuti più significativi, ma l’espansione del dominio spettacolare sul tempo degli individui. Non si tratta di favorire la profondità o la riflessione, ma di massimizzare il tempo di esposizione agli annunci pubblicitari e ai meccanismi di monetizzazione.

La misurazione algoritmica del tempo di visione produce una temporalità peculiare: un tempo che non scorre più linearmente ma si aggrega in blocchi di attenzione capitalizzabile. L’algoritmo valuta quanto tempo “merita” un contenuto e, in base a ciò, determina quanto tempo dell’esistenza di altri esseri umani dovrebbe essere indirizzato verso quel contenuto. Si realizza così una redistribuzione artificiale del tempo collettivo, orchestrata non dalle necessità umane ma dalla logica del profitto.

E il secondo diventa l’unità di misura del valore, non solo economico ma esistenziale. Un contenuto che genera più secondi di attenzione viene premiato con più visibilità, creando un circolo vizioso dove il tempo umano viene estratto e redistribuito secondo criteri puramente quantitativi.

Questa manipolazione algoritmica del tempo rappresenta l’apice di quel processo che avevo definito come “colonizzazione della vita quotidiana.” L’algoritmo non solo determina cosa vediamo, ma plasmando i nostri ritmi di attenzione, finisce per determinare come viviamo il tempo stesso. Il succedersi naturale di momenti viene sostituito da una sequenza artificiale calibrata per massimizzare il coinvolgimento e, di conseguenza, il profitto.

In questo contesto, la competizione tra Instagram e TikTok rivela la sua vera natura: non una battaglia per la qualità dei contenuti, ma una guerra per il controllo del tempo e dell’attenzione degli utenti. La società dello spettacolo si è evoluta, ma la sua essenza rimane immutata: la trasformazione della vita vissuta in rappresentazione consumabile.

La resistenza a questo sistema non può limitarsi al rifiuto individuale di partecipare alle piattaforme social. È necessaria una critica radicale che sveli i meccanismi attraverso cui il capitale digitale colonizza il tempo e la coscienza degli individui. Attraverso questa consapevolezza possiamo iniziare a immaginare forme di interazione sociale libere dalla tirannia dell’algoritmo e dalla quantificazione dell’esperienza umana.

Ma può mettersi in campo una forma di resistenza alla colonizzazione algoritmica della temporalità. Lo stesso détournement che teorizzavamo negli anni ’50 e ’60 può essere applicato all’algoritmo – non come semplice sabotaggio, ma come riappropriazione creativa. Il “détournement algoritmico” consisterebbe nel prendere i contenuti promossi dal sistema e ricontestualizzarli, sovvertendone il significato originale: collettivi di utenti potrebbero, ad esempio, appropriarsi dei formati virali per veicolare messaggi antagonisti, creare montage di contenuti sponsorizzati per rivelare le loro contraddizioni, o sviluppare pratiche collettive di condivisione che sfuggono alla logica predittiva dell’algoritmo. Come scrivevamo in ‘Mode d’emploi du détournement’ , si tratta di costruire un altro mondo ludico attraverso ‘la comunicazione che contiene la sua propria critica’. Non è questione di rifiutare il medium, ma di sovvertirlo dall’interno, trasformando il flusso temporale alienato in situazioni costruite deliberatamente contro la logica del profitto.

Glossario dei Concetti Chiave

  • Società dello spettacolo: Sistema sociale in cui i rapporti tra le persone sono mediati dalle immagini e dalle rappresentazioni
  • Spettacolarizzazione: Processo di trasformazione della realtà in rappresentazione consumabile
  • Merce: Nella teoria di Debord, non solo oggetti materiali ma anche esperienze, tempo e relazioni sociali convertite in valore di scambio
  • Alienazione: Condizione in cui l’individuo è separato dalla sua vita reale attraverso la mediazione delle immagini e delle rappresentazioni
  • Détournement: Tecnica di sovversione culturale che consiste nel riutilizzare elementi esistenti per creare nuovi significati critici

Riferimenti Bibliografici

  • Debord, G. & Wolman, G. (1956). Mode d’emploi du détournement. Les Lèvres nues, n. 8.
  • Debord, G. (1967). La Société du Spectacle. Buchet-Chastel
  • Debord, G. (1988). Commentaires sur la société du spectacle. Éditions Gérard Lebovici
Guy Debord

Guy Debord

Filosofo, cineasta e teorico rivoluzionario francese (1931-1994), Guy Debord ha sviluppato una delle critiche più penetranti della società capitalista avanzata con il suo concetto di "società dello spettacolo"

Gian Mauro Zumbo

Gian Mauro Zumbo

Imprenditore seriale a cavallo tra trasformazione digitale, impatto sociale e turismo sostenibile, ho trasformato la mia cronica curiosità in professione. Tra un progetto e l'altro, mi sono lasciato catturare da una domanda: cosa direbbero i grandi del passato delle nostre sfide? È nato così un esperimento editoriale che usa l'impossibile come strumento d'indagine, mescolando ispirazione e immaginazione per creare ponti inaspettati tra epoche e saperi.

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